Il crocifisso di San Marcello al Corso è tornato ad essere al centro delle liturgie, venerato da Papa Francesco, dai fedeli romani, e dai fedeli di tutto il mondo. L’effigie sacra è ricomparsa sull’altare della Basilica di San Pietro, completamente rimessa a nuovo, durante la messa del Pontefice per la celebrazione della Domenica delle palme. Il crocifisso era stato danneggiato dall’esposizione prolungata alla pioggia durante la preghiera e la benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo, in cui Papa Francesco aveva invocato la fine della pandemia di Covid-19. In quell’occasione la scultura lignea era stata esposta alle intemperie climatiche per due ore, e aveva riportato danni piuttosto consistenti. L’acqua piovana aveva gonfiato il legno antico, facendo saltare in vari punti dell’opera gli stucchi, e compromettendo alcune parti della verniciatura. Si era inoltre rovinata la tempera utilizzata per realizzare il sangue che sgorga dal costato di Cristo, ed erano risultate danneggiate anche la superficie lignea dei capelli, che si era increspata e gonfiata, e le braccia, quasi del tutto rovinate. Danni definiti sulle prime addirittura irrimediabili, che invece sono stati perfettamente riparati dai restauratori dei Musei Vaticani, che hanno ridato alla scultura un colore e un’intensità completamente rinnovati. La realizzazione del crocifisso di San Marcello al Corso risale al XV secolo, ed è opera di un artista anonimo, mentre la sua storia “miracolosa” inizia nella notte tra il 22 e il 23 maggio del 1519. Il popolo romano accorse alla chiesa di San Marcello al Corso, dove era divampato un incendio, e rimase sbalordito nel vedere che, di tutta la chiesa, le fiamme avevano risparmiato soltanto il crocifisso, che era collocato sull’altare maggiore, e la lampada in vetro che lo illuminava. Da quel giorno fino ad oggi il popolo romano non ha mai smesso di pregare davanti a questa effigie sacra, che è divenuta protagonista di alcune significative pagine della storia cittadina, la più famosa delle quali avvenne durante la terribile pestilenza del 1522. Davanti alla città messa in ginocchio dall’epidemia, il cardinale spagnolo Raimondo Vich, titolare della chiesa di San Marcello al Corso, decise organizzare una solenne processione penitenziale, per portare il crocifisso nei vari rioni di Roma infestati dalla peste. La processione durò 16 giorni, durante i quali il crocifisso passò per le strade dei quartieri romani devastati dall’epidemia, in un’atmosfera per noi moderni difficilmente immaginabile, nonostante l’esperienza del Coronavirus. Case sprangate con assi di legno di fortuna, altre abitazioni bruciate per cercare di contenere il contagio, cadaveri di uomini, donne, bambini, ammassati sui carri che attraversavano le strade della città, mentre i medici cercavano come potevano di alleviare le sofferenze dei moribondi, girando per la città con quelle maschere bianche dal becco lungo che sono poi diventate celebri, e gruppi di fedeli si flagellavano nella speranza che, espiando anche i peccati degli altri, Dio potesse placare la sua ira. In un’atmosfera del genere, in una Roma piegata, provata, stremata dalla peste, per sedici giorni si fece passare il crocifisso miracoloso per i rioni della città, e i cronisti dell’epoca sono concordi nell’affermare che ovunque l’effigie passasse la peste cessava. Da allora il crocifisso divenne una meta di preghiera particolarmente significativa per i fedeli romani e i pellegrini di tutto il mondo, nonché un oggetto che i papi iniziarono a venerare e a portare a San Pietro in occasioni particolarmente significative. Lo fece Giovanni Paolo II, durante il grande giubileo del 2000, quando volle pregare davanti al crocifisso durante la liturgia in cui chiese perdono per i peccati della Chiesa nella storia; e in questi nostri difficilissimi tempi Papa Francesco ha rimesso l’effigie miracolosa al centro della devozione di tutto il mondo. Prima è andato in pellegrinaggio a piedi, in una Roma deserta, nella chiesa di San Marcello al Corso a pregare davanti al crocifisso, poi ha portato la scultura in piazza San Pietro per la benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo, ed ora, dopo il necessario restauro, l’ha collocata sull’altare della Basilica Vaticana per le celebrazioni di questa Settimana Santa, destinata a restare nella storia della Città e dell’Umanità.
12/04/2020