L’Assessore alla Cultura del Terzo Municipio Christian Raimo, da molti considerato l’uomo più radicale della squadra di Giovanni Caudo, ci spiega la sua visione di città, le nuove emergenze culturali e sociali e il suo progetto per il futuro: “Voglio continuare a fare l’Assessore alla Cultura in questo territorio”.
Raimo, come valuta i suoi rapporti con la Giunta Caudo e la sua esperienza come Assessore alla Cultura del III Municipio? “I rapporti sono decisamente buoni considerando che siamo sempre stati costretti a lavorare in una situazione di emergenza e la crisi di rappresentanza del nostro Municipio. In questa pandemia, paradossalmente, ho lavorato sempre meglio con i miei colleghi. Dopo di che sto notando che l’appartenenza ai partiti conta progressivamente di meno, contano più le prospettive. Caudo si è scelto una squadra di persone valide. Mantenendo delle differenze di posizione e cultura politica, lavoriamo molto bene assieme perché appunto abbiamo una prospettiva comune. Questa squadra, rispetto a quello che c’è a Roma è senza dubbio un’eccellenza”.
Alla luce dell’esperienza maturata in questi due anni e mezzo, cosa pensa di fare in futuro considerando le prossime elezioni amministrative? “Ho capito che è necessario dare continuità al lavoro che abbiamo cominciato a fare nel Terzo. Soprattutto è necessario strutturare le relazioni con le comunità territoriali. Mi sono divertito molto durante questa esperienza e vorrei continuare a fare politica qui. Mi candiderò come consigliere, intanto, per proseguire il progetto che stiamo portando avanti con un pezzo di PD e con le espressioni civiche che ruotano attorno a questa giunta, e che abbiamo chiamato ‘Terzo in Cantiere’. Non voglio fare il Presidente; se potessi invece continuare a fare l’Assessore alla Cultura sarei più che contento”.
Quali sono invece i suoi rapporti con il PD romano? “Non conoscevo le dinamiche di Roma. Ciò che ho visto è che le comunità politiche romane, comprese quelle dentro al PD, sono in crisi perché ci sono poche persone che fanno politica. Io guardo alle persone e alle comunità che rappresentano, al lavoro che fanno, senza tenere molto in conto l’appartenenza alla fazione. Il punto è che mancano dei luoghi di confronto veri, seri Se ci fossero questi spazi, tolti i fascisti e gli speculatori, a me andrebbe bene collaborare con tutti se ci fosse la volontà. Bisogna accogliere più culture politiche, che non vuol dire annacquare la propria”.
Infatti la sua ‘Chiamata alle arti’ ha creato il progetto ‘Grande come una città’, che si articola proprio sul tema generale dello spazio di confronto e dibattito. Quanto è necessaria oggi a Roma una operazione del genere sul piano culturale? “Moltissimo. Secondo me per esempio i soldi del Recovery Fund andrebbero spesi tutti in infrastrutture cognitive, quindi scuole e biblioteche. La mia idea è di pensare la città di Roma come un’aula, come dice McLuhan, concepirla come un luogo di condivisione dei saperi. Questo anche perché il rischio di questa pandemia è di creare due città che convivono assieme. Da una parte una ‘città minima’: si sta a casa, smart working, Dad, spesa online. Questa città per poter esistere ha bisogno dell’altra città, la ‘città di sotto’, quella del rider, di chi sta alla logistica e ai trasporti, dei call center, quindi si creano dei ghetti che non sono solo fisici ma costituiti anche da strutture virtuali. Per uscire da questa situazione è necessario investire nei saperi. Scuole e biblioteche sono centrali”.
Lei, tra i vari ruoli che ricopre, rimane soprattutto uno scrittore. C’è bisogno di una nuova narrativa politica a Roma e nel Terzo? “Sì, assolutamente. A marzo esce un mio libro che si intitola ‘Roma non è eterna’, che è una riflessione proprio sul rapporto tra estetica e politica. Per me solo creando un nuovo immaginario si crea una nuova politica e solo attraverso un nuovo impegno politico si crea un immaginario diverso. Cattivi immaginari fanno cattive politiche”.