Lo scorso 16 dicembre il Caffè di Roma ha inviato a vari Enti pubblici e privati, tra i quali principalmente la Soprintendenza Archeologica di Roma e il Ministero dei Beni Culturali, una nuova e seconda richiesta di accesso ai locali interrati sottostanti l’edificio in cui si trova la nuova sede dell’Eni di Roma, in viale Giorgio Ribotta n.51, all’Eur-Torrino, sotto cui si troverebbe interrato il manufatto dal valore inestimabile, almeno questo è quanto ha sostenuto a più riprese la stessa Soprintendenza Archeologica per bocca dell’archeologo Rocco Bochicchio, senza però corredare le parole con tutta la documentazione del caso. L’Eni ci aveva contattato telefonicamente per comunicarci che l’Ente Nazionale Idrocarburi è un ‘semplice’ affittuario dell’immobile e quindi non titolato a concedere l’accesso ai locali sotterranei per visionare il reperto. Il 24 dicembre ci è giunta anche una nota stampa dal fondo immobiliare Silver Fir Capital, “gestore dell’immobile” – così ci scrive – sostenendo che “l’area (in cui si troverebbe il manufatto, ndr) è segregata, chiusa a chiave ed è interdetto il libero accesso a terzi. Essendo l’area sottoposta a vincolo, ogni azione deve essere concordata preventivamente con la Soprintendenza. In assenza di tale preventiva autorizzazione, ci dispiace non essere nelle condizioni di potere accogliere la Sua richiesta di accesso”. L’immobile in questione, giova ricordarlo, è stato costruito dal Gruppo immobiliare guidato dal costruttore Luca Parnasi, ma è gestito dal fondo immobiliare ‘Silver Fir Capital’ e affittato all’Eni, anche se non siamo ancora riusciti a capire chi è il proprietario.
ANTICO PONTE IMPERIALE: CHI L’HA VISTO?
Nella stessa risposta il fondo Silver Fir Capital – che ringraziamo per la disponibilità – rivela anche che sotto la nuova sede romana dell’Eni si troverebbe solo un tratto dell’antica via Laurentina, ma non fa alcuna menzione al ponte imperiale di Marco Aurelio: “Per quanto di nostra conoscenza – scrive il fondo immobiliare – la porzione di tracciato viario (dell’antica via Laurentina, ndr) si trova conservata allo stato originario al piano secondo interrato dell’immobile locato all’Eni, accessibile attraverso un vano ispezionabile che si presenta coperto da breccia di grana grossa a protezione naturale dei manufatti storici sottostanti. I reperti (ossia i basolati dell’antica via romana, ndr) non sono visibili perché, in linea con le richieste della Soprintendenza, dopo averli puliti sono stati coperti con un telo e, quindi, nuovamente interrati per preservarli e conservarli”. Notizia che coincide perfettamente con quanto ci è stato riferito dai tecnici che hanno costruito l’immobile. Per questo, siamo tornati a interrogare Daniela Porro, la Soprintendente di Roma, oltreché l’ingegnere che ha curato la progettazione del palazzo, per porgere loro una semplice domanda: il ponte imperiale di Marco Aurelio è stato rinvenuto nel parco dell’Eur Castellaccio nel 2006 e rinterrato nel 2008, come dimostra la documentazione scientifica dell’epoca; mentre la nuova sede Eni è stata costuita tra il 2015 e il 2019. Com’è possibile che il ponte si trovi sotto la nuova sede Eni? Quali documenti attestano tale spostamento? Nel 2015 i resti del ponte sono stati quindi spostati dal parco del Castellaccio e trasportati fin sotto le fondamenta del nuovo palazzone di proprietà del fondo Silver Fir Capital?
UNA STORIA OSCURA
Per comodità dei lettori ricapitoliamo lo stato della situazione. Il ponte imperiale di Marco Aurelio è stato rinvenuto nel 2006 all’interno del parco dell’Eur-Castellaccio da Anna Buccellato, ex funzionaria della Soprintendenza Archeologica di Roma ora in pensione. Così lei stessa ha scritto in un articolo scientifico (corredato di mappa!) pubblicato su una prestigiosa rivista archeologica e poi inserito nel 2008 dall’archeologo Filippo Ascani in un volume didattico universitario. Il ponte imperiale sarebbe conservato in un locale sotterraneo-ispezionabile situato per l’appunto sotto la nuova sede Eni, ma inaccessibile per motivi ignoti. Almeno questa è la tesi sostenuta il 19 novembre scorso dalla Soprintendenza Archeologica, nella persona dell’archeologo Rocco Bochicchio (che ha preso il posto della collega Buccellato), di fronte alla Commissione capitolina Trasparenza che ad agosto ha aperto un’inchiesta su tale vicenda, oltreché davanti alla telecamere della trasmissione Report. La tesi di Bochicchio ci lascia sbigottiti visto che non si fonda su dati /documenti oggettivi, come dovrebbe essere. Del resto il vincolo ministeriale del 2016, che abbraccia l’ingresso della nuova sede Eni, non fa alcun cenno al ritrovamento/rinterro conservativo del ponte. La tesi di Bochicchio, quindi, al momento si fonda solo sulle sue parole, ma credere a tesi prive di riscontro oggettivo costituisce un atto di fede, che nulla ha a che vedere con le pratiche ministeriali-burocratiche. Lo scorso 19 novembre Bochicchio si è rifiutato di mostrare il ponte e tutti i documenti necessari a dimostrare la sua strana tesi ai consiglieri capitolini nonché membri della Commissione Trasparenza Marco Palumbo, Monica Montella e Francesco Figliomeni.