Il covid ci sta “obbligando” a rivedere una serie di modelli. Nel recente rapporto COIMA si parla di diminuzione di uffici ma di aumento delle aree comuni. Per Roma è un futuro possibile?
“Non deve essere un futuro possibile, ma l’unico scenario auspicabile per Roma. Con l’inevitabile sviluppo dello smart working e, quindi, una sostanziale ricalibrazione della vita quotidiana, occorre ripensare la città in termini di mobilità ecosostenibile, servizi pubblici e spazi comuni di quartiere per pervenire a una piena transizione ecologica, inclusione sociale e territoriale e modernizzazione del Paese. Occorre anche immaginare un ritorno degli abitanti nelle zone centrali della Città, attualmente vissute di giorno grazie all’afflusso di lavoratori negli uffici e deserte nel fine settimana, come accade ad esempio intorno a Piazza Mazzini nel quartiere Prati o nel Centro Storico le cui attività commerciali sono a rischio chiusura a causa di una pandemia che ha praticamente annullato la presenza di turisti e lo smart working”.
Si parla spesso di rigenerazione urbana, quali sono le aree nevralgiche secondo lei dove si può intervenire in tempi brevi e con risultati concreti?
“Transizione ecologica, inclusione sociale e territoriale e modernizzazione della Città devono essere le linee guida della rigenerazione urbana. È necessario ripensare al rapporto tra densità abitativa e mix funzionale delle aree urbane, al fine di offrire più servizi di vicinato per meno abitanti e ripensare i piani terra con servizi, spazi di lavoro condivisi, attività commerciali o semipubbliche. Con il programma “Reinventing Cities” stiamo operando sulla Stazione Tuscolana, la quale rientra tra gli obiettivi prioritari del Verbale d’Intesa tra Roma Capitale, RFI e FS Sistemi Urbani per la cura del ferro e la rigenerazione urbana delle aree ferroviarie dismesse e che fa parte dell’“Anello Verde”, sistema continuo di spazi pubblici e strutture a servizio della città lungo l’anello ferroviario, tra le stazioni Trastevere e Tiburtina. Dal punto di vista infrastrutturale, la riqualificazione è legata allo sviluppo del nodo di scambio tra ferrovia e metropolitana e integrata con il sistema di verde lineare attrezzato. Abbiamo in programma diversi siti su cui intervenire come l’ex Mira Lanza all’ostiense, l’ex Filanda a Viale Castrense, l’ex mercato di Torre Spaccata all’interno del quartiere popolare ex INA CASA e, infine, il complesso Vertunni a La Rustica. Oltre a queste, esistono molte altre situazioni che necessiterebbero di interventi di rigenerazione ben precisi. È ipotizzabile anche intervenire su interi quartieri oggetto di degrado”.
Una delle aree citate anche nel rapporto COIMA è quella del quartiere Flaminio. Lì c’è l’ex caserma Guido Reni, proprio vicino al MAXXI. Che progetti ci sono?
“La riqualificazione dell’area dell’ex Caserma di via Guido Reni riguarda una superficie complessiva di circa 55mila mq di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, all’interno della quale saranno realizzati edifici residenziali per circa 35mila mq (di cui 6mila mq destinati a Housing Sociale), un albergo di 7mila mq e 3mila mq di commerciale di vicinato. I circa 2mila mq di servizi pubblici di livello locale, che comprendono, secondo quanto individuato a esito di un importante percorso di coinvolgimento dei cittadini e del Municipio, una biblioteca di nuova generazione e spazi aperti attrezzati, saranno realizzati selezionando il progetto attraverso un concorso di progettazione bandito da Roma Capitale. Uno degli spazi pubblici più importanti sarà quello dedicato alla promozione e diffusione della cultura scientifica nella comunità cittadina e metropolitana, che avrà la “mission” di assicurare un contributo fondamentale al ricco patrimonio di enti ed istituti di ricerca e alta formazione scientifica che hanno sede nel territorio della città Metropolitana di Roma”.
Sullo Stadio Flaminio invece è ancora in piedi l’ipotesi Stadio della Lazio o state andando in tutt’altra direzione?
“Credo che l’ipotesi stadio della Lazio nello Stadio Flaminio sia oramai tramontata. Proprio l’altro giorno si è svolta in Campidoglio la conferenza stampa di presentazione del Piano di Conservazione dello Stadio realizzato per le Olimpiadi del ’60. Si tratta di uno strumento propedeutico che consentirà la valorizzazione e il mantenimento delle peculiari caratteristiche architettoniche e costruttive di una struttura iconica come lo Stadio Flaminio. Sarà una struttura che offrirà un’importante offerta sportiva, culturale e ricreativa al quartiere e tutta Roma. Andiamo, quindi, nella direzione della rigenerazione del quartiere Flaminio, già iniziata con il MAXXI e Guido Reni”.
Nella maggioranza di Governo si sta discutendo di un fondo di 10 miliardi per rigenerazione da dare alle città. Si riuscirà secondo lei senza ricorrere però ad aiutini, tipo aumenti di volumetria e cambi di destinazione d’uso?
“Mi auguro che questo fondo sia presto disponibile perché ripensare le città italiane in termini di rispondenza ai cambiamenti della società è oramai uno step improcrastinabile. Gli aiutini, previsti dalla legge regionale n.7/2017, erano stati concepiti come un incentivo ai privati e/o investitori per proporre interventi di rigenerazione. Invece, più sovente, sono stati utilizzati come nel caso dell’ex piano casa, ossia contemplando solo aumenti di cubatura senza agire su nuovi concetti del vivere sociale. Probabilmente, con l’intervento pubblico e le nuove normative si potrà ovviare agli aiutini. Tuttavia non sono questi a preoccuparmi, bensì l’impatto che una nuova costruzione ha nel tessuto storico della città. Come nel caso dell’intervento al quartiere Coppedè, occorre inserire degli standard estetici nelle norme e, forse, rispolverare la Commissione di Ornato che giudicava l’estetica degli interventi ed il loro rapporto con il contesto in cui vengono realizzati”.