«Nel momento in cui firmai tutti i fogli relativi alla mia interruzione terapeutica di gravidanza – racconta -, mi chiesero: “Vuole procedere lei con esequie e sepoltura? Se sì, questi sono i moduli da compilare”. Risposi che non volevo procedere, per motivi miei, personali che non ero e non sono tenuta a precisare a nessuno. Avevo la mente confusa, non ho avuto la lucidità sufficiente per chiedere cosa succedesse al feto. Dopo circa 7 mesi ritirai il referto istologico, e pensando ai vari articoli letti a riguardo, ebbi un dubbio. Decisi di chiamare la struttura nella quale avevo abortito, e dopo aver ricevuto risposte vaghe, decido di contattare la camera mortuaria».
È stato in quel momento che le hanno spiegato cosa era successo. Al telefono le hanno spiegato «Signora noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Stia tranquilla anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome». «Scusi ma quale nome? Non l’ho registrato. È nato morto». «Il suo signora. Stia tranquilla la chiameremo noi quando sarà spostato al cimitero».
Così Marta ha scoperto che sul sito di «Ama cimiteri capitolini esiste una sezione dedicata a descrivere lo scenario nel quale si inseriva quel progetto di “giardino degli angeli” del 2012. In assenza di un Regolamento regionale, questo tipo di sepoltura è disciplinata dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 7 del D.P.R. 285/90 (Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria) che, in sintesi prevede che: i “prodotti del concepimento” dalla 20^ alla 28^ settimana oppure i “feti” oltre la 28^ settimana, vengono sepolti su richiesta dei familiari o, comunque, su disposizione della ASL».
«A questo punto – conclude Marta – mi sembrano ovvie le riflessioni su quanto sia tutto scandalosamente assurdo, su quanto la mia privacy sia stata violata, su quanto affermare che “ci pensa il comune per beneficenza” abbia in qualche modo voluto comunicare “l’hai abbandonato e ci pensiamo noi”».
Intanto Ama ha voluto comunicare la propria estraneità alla vicenda raccontata, nella parte in cui Marta racconta che questa non era la sua volontà. «La sepoltura del feto della signora Loi è stata effettuata su specifico input dell’ospedale presso il quale è avvenuto l’intervento ed autorizzata dalla Asl territorialmente competente – scrive Ama –. Come sempre avviene in questi casi, i Cimiteri Capitolini sono semplici esecutori dei regolamenti, cimiteriale e di polizia mortuaria, e sono le autorità competenti che richiedono ed autorizzano il trasporto e l’inumazione del feto. La struttura cimiteriale, dunque, non ha nessun ruolo in simili decisioni e, anche in questo caso, si è limitata ad eseguire la sepoltura a fronte di un consenso già dato per espresso dalla struttura sanitaria richiedente. Ci dogliamo nell’apprendere che quella non fosse la volontà della signora Loi, ma ribadiamo la totale estraneità di AMA – Cimiteri Capitolini nella conclusione della vicenda raccontata dalla signora. Quanto al segno funerario (la croce) utilizzato per indicare la sepoltura, si evidenzia che esso è quello tradizionalmente in uso, in mancanza di una diversa volontà, mentre l’epigrafe deve in ogni caso, in assenza di un nome assegnato, riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura da parte di chi ne conosce l’esistenza e la cerca».