IL RUOLO DI PARNASI, IL SILENZIO DELLA SOPRINTENDENZA
La demolizione dei ponti è stata richiesta il 17 maggio 2017 dalla società BNP-Paribas e concessa dalla Regione Lazio il 3 ottobre 2018, dopo una apposita Conferenza dei Servizi, il tavolo istituzionale deputato a concedere il via libera a progetti di questo tipo, col parere positivo del Campidoglio, della Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma e di altri Enti pubblici ‘minori’. Lo scopo del progetto era di rendere agibili e collaudabili i nuovi palazzoni costruiti dal Gruppo immobiliare Parnasi su terreni BNP-Paribas poi affittati all’Eni. Operazione bloccata dal grave rischio di allagamento che incombe sull’intera area sottoposta al regime di ‘rischio idraulico 4’, così si dice in gergo tecnico, il livello massimo previsto dalla legge. Il declassamento idrogeologico costituisce una procedura burocratica e tecnica molto complessa. Gli enti, anziché imporre a BNP-Paribas e Parnasi la costruzione di opere ingegneristiche molto costose, avrebbero preferito chiudere un occhio permettendo ai proponenti di cavarsela con un semplice innalzamento di un solo argine dei due fossi che attraversano la valle del Castellaccio, Acquacetosa e Vallerano, due affluenti del Tevere, con buona pace dei quattro ponti. L’allora Soprintendente di Roma, Francesco Prosperetti, nel parere del 10 ottobre 2017 ha imposto al costruttore approfonditi “sondaggi archeologici”. Dopo una settimana, nel secondo parere, sparisce qualsiasi riferimento alle importantissime preesistenze archeologiche e ai vincoli che incombevano sulla zona. Gli altri enti e le colleghe della Soprintendenza che hanno controfirmato con lui i due pareri, Anna Buccellato e Lisa Lambusier, non si sono accorti di questa macroscopica contraddizione? Pare di no. A novembre 2019 Prosperetti, indagato nel processo penale sul nuovo stadio della Roma – l’area di Tor di Valle si trova ad un tiro di schioppo da Castellaccio -, è stato rinviato a giudizio insieme a Luca Parnasi, il potente costruttore romano, a Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale di Roma, e ad altri 10 politici regionali e tecnici. Sull’abbattimento dei ponti sono tre le questioni che andrebbero chiarite e anche alla svelta.
CALPESTATI CINQUE VINCOLI ARCHEOLOGICI
Prima questione: sulla zona dell’Eur-Castellaccio pendevano tre vincoli archeologici registrati nella cartografia ufficiale del Piano Territoriale Paesistico Regionale del Lazio del 2016 (conosciuto anche come P.T.P.R., il Piano che raccoglie tutte le norme urbanistiche vigenti sul territorio), ma sono ‘scomparsi’ anche essi, esattamente come i ponti, eliminati dalla versione del Piano regionale pubblicata a febbraio 2020. Il primo vincolo si trovava proprio sull’area del ponte imperiale romano: ora le tutele archeologiche non ci sono più, ma sono state in vigore fino a febbraio 2020 incluso. Il secondo vincolo si trovava poco distante. Il terzo salvaguardava un intero tratto dell’antica via Laurentina che transitava tra il fosso dell’Acquacetosa e Vallerano. In corrispondenza dell’area tutelata dal primo dei tre vincoli regionali, insisteva anche un altro vincolo in vigore dal lontano 1981, inserito nella Carta dell’Agro Romano, una sorta di ‘Bibbia’ del settore archeologico, che segnalava la presenza di un ponte di valore. Infine, in epoca più recente, l’intera area dell’Eur-Castellaccio era stata tutelata anche da un vincolo istituito proprio dalla Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma con il decreto denominato ‘DDR 12 gennaio 2016’, richiesto dal Soprintendete Prosperetti e dal funzionario responsabile, Anna Buccellato, e controfirmato da Daniela Porro, attuale Soprintendente di Roma, allora ‘solo’ Presidente della Commissione regionale deputata a controfirmare le richieste di questo tipo. Tutti questi vincoli, anche e soprattutto quello della Soprintendenza, sono letteralmente ‘scomparsi’ dal carteggio della Conferenza dei Servizi, il tavolo regionale di ottobre 2018 che ha autorizzato la demolizione dei quattro ponti.
DOVE È LA STELE IN TRAVERTINO CON L’EPIGRAFE IMPERIALE?
Seconda questione: i rappresentanti dello Stato non si sono accorti prima di tali contraddizioni e continuano a tergiversare anche ora. Rocco Bochicchio – delegato della Soprintendenza Archeologica per il IX Municipio – ha sostenuto in un articolo giornalistico che il ponte imperiale di Marco Aurelio sarebbe stato interrato a scopo conservativo, ma non ha indicato il luogo preciso (eppure l’archeologia si basa su ricerche puntuali eseguite in ‘punta di pennello’), ma soprattutto si è dimenticato di spiegare che fine abbia fatto la pregiatissima epigrafe che riporta (a caratteri cubitali!) su una grossa stele in travertino il nome dell’imperatore che ha fatto costruire il ponte romano, Marco Aurelio, e che ci permette di definirne la data di costruzione, il 177 d.C. Una versione, quella di Bochicchio, che in sostanza combacia con quella raccontata da Dario D’Innocenti, presidente del IX Municipio, in Consiglio municipale, anche se D’Innocenti si è forse cautelato preannunciando sempre in Consiglio di aver comunque inviato alla Soprintendenza una nota formale per chiedere ogni più “opportuno chiarimento” su quanto accaduto. Interrogata dalla Commissione Cultura municipale del IX, Carmela Lalli, assessora alla Cultura e dal 2002 collaboratrice della Soprintendenza stessa, ha prima consigliato alla Commissione di fare un accesso agli atti alla Soprintendenza per reperire tutta la documentazione tecnica, scientifica e amministrativa sul ponte ‘scomparso’ per capire quanto accaduto, poi sui suoi profili social ha sottolineato che il ponte si “trova dove è sempre stato, reinterrato per tutelarlo”: e l’epigrafe su grossa stele di travertino? Nessuna notizia, ‘scomparsa’. Daniela Porro, attuale Soprintendente di Roma, ci ha fornito copia del vincolo ma non degli allegati fotografici, ossia le foto del ponte imperiale, dell’epigrafe su grossa stele di travertino e del ponte di Mussolini. Sarebbe utile avere il suo parere per fare finalmente luce su tale e oscura vicenda, ma al momento non siamo ancora riusciti a intervistarla.
PERCHÈ NON ESPORRE I REPERTI IN UN MUSEO?
Terza questione: Roma è la città della storia e dell’archeologia, ma ancora più dei musei. Nella città eterna ve ne sono circa 200, tra i quali 12 musei archeologici e 10 musei dedicati all’epoca moderna. Ci chiediamo dunque: perché l’antico ponte imperiale, la grossa stele in travertino contenente l’epigrafe e il ponte costruito da Benito Mussolini non sono stati esposti in un museo e mostrati agli studenti, ai cittadini, ai turisti di tutto il mondo come si fa per reperti di questa importanza? Se, come sostiene l’archeologo Bochicchio delegato per la Soprintendenza del IX Municipio, il ponte e l’epigrafe imperiale sono stati davvero interrati perché non vengono subito dissotterrati e portati in uno dei tanti musei di Roma? A noi non resta che insistere su una precisa richiesta: potete fornirci copia degli allegati fotografici, ivi compresa della pregiatissima epigrafe su grossa stele di travertino per mostrarli ai lettori? Non sappiamo se e quando di questa brutta vicenda si occuperà la magistratura, ma intanto abbiamo posto queste semplici domande al Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, e alla Soprintendete Porro, perché vogliamo solo fare chiarezza, senza alcuna volontà di mettere in difficoltà chi è coinvolto in questa storia, ma col solo scopo di informare i cittadini. Restiamo in attesa di una loro cortese risposta.
Daniele Castri
ITALIA NOSTRA CHIEDE LE CARTE, FDI ATTIVA LA COMMISSIONE TRASPARENZA
Sul caso dei ponti ‘scomparsi’ sta indagando anche l’associazione Italia Nostra, sezione Roma, che ha inviato una richiesta di accesso agli atti a Soprintenenza, Regione e Comune di Roma e chiesto di conoscere la destinazione finale di tutti i reperti archeologici rinvenuti in zona Eur-Castellaccio. Infine, il consigliere capitolino Francesco Figliomeni (FDI) ha chiesto la convocazione di una apposita seduta della Commissione Trasparenza di Roma per approfondire i ltema che verrà convocata probabilmente subito dopo le vacanze.
Giuseppe Vatinno