Non si dirada, ma infittisce la nebbia attorno al caso del ‘ponte scomparso’ all’Eur-Castellaccio visto che il ponte demolito non è uno – come affermato da il Caffè di Roma in una recente inchiesta – ma sono tre. In particolare il primo di essi, quello principale, situato sul fosso dell’Acquacetosa, a due passi dalla nuova sede della provincia (ora oggetto della clamorosa indagine della Corte dei Conti), di epoca imperiale, costruito da Marco Aurelio nel 177 d.C., su cui pendeva un vincolo puntuale della Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma (DDR 12 gennaio 2016). Le spallette (ossia il basamento del ponte) erano ancora quelle originali, rinforzate successivamente, tanto da venir ancora attraversato da pedoni, bici, auto e mezzi pesanti: è stato completamente demolito, gettato in discarica e ora ‘sostituito’ da una ciclopedonale. Altri due ponti sono ‘scomparsi’ invece sul vicino fosso di Vallerano; uno di cemento armato e l’altro, probabilmente medioevale, indicato tra le carte come “manufatto desueto”, di epoca incerta, ma costruito con tecnologia romana (arco a tutto sesto e mattoncini): entrambi demoliti, trasportati in discarica e mai sostituiti da infrastrutture alternative.
VERBA VOLANT, SCRIPTA MANENT
Questo è quanto si legge nelle carte timbrate, protocollate e approvate da Regione Lazio, Comune di Roma, Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma e da altri Enti pubblici ‘minori’ (ma con la totale estromissione del IX Municipio) a seguito di apposita Conferenza dei Servizi, il tavolo inter-istituzionale deputato ad approvare progetti di questa natura, il 3 ottobre 2018. Carte che smentiscono clamorosamente quanto sostenuto a mezzo stampa, forse in maniera un po’ superficiale, da un archeologo che sostiene di essere il delegato per il IX Municipio di Roma (ossia che il ponte imperiale sarebbe stato interrato): il Municipio e il suo presunto delegato in tal caso avrebbero preso parola decisamente troppo tardi. Del resto, l’eventuale interramento conservativo di un ponte imperiale per di più vincolato come quello che sorgeva sul fosse dell’Acquacetosa, avrebbe dovuto essere autorizzato a caratteri cubitali dagli Enti pubblici in Conferenza dei Servizi, Enti che invece hanno fatto sparire dal carteggio della Conferenza ogni traccia del ponte, del vincolo e della sua successiva demolizione.
LA STORIA GETTATA IN DISCARICA AL COSTO DI 48MILA €
Tutti e tre i ponti, come accennato poco fa, son stati demoliti, sia le parti in cemento armato che, purtroppo, quelle in antica muratura romana e medioevale. Del resto, le carte che il nostro giornale ha potuto visionare in esclusiva, parlano fin troppo chiaro. Rispetto al ponte imperiale vincolato sul fosso dell’Acquacetosa si legge: “demolizione totale delle strutture in muratura di qualsiasi genere, forma e spessore, sia per la parte interrata che fuori terra (per qualsiasi altezza), eseguita con mezzi meccanici e con intervento manuale dove occorre. Compresa la demolizione di eventuali parti di struttura in cemento armato (esempio, travi e solette) e rimozione eventuale di profilati in acciaio. Incluso il carico, il trasporto ed oneri per il conferimento in discarica controllata del materiale di risulta”. Costo dell’operazione di demolizione e smaltimento in discarica? “11mila e 418 euro”. Stessa cosa per i due ponti sul fosso di Vallerano, ma costo più alto: “37mila e 156 €”. Totale? 48mila e 574 € di spesa.
IL PROGETTO ‘ANTI-ALLAGAMENTO’
Non uno, quindi, ma tre ponti demoliti e smaltiti in discarica, tra l’altro non nell’ambito del programma immobiliare Europarco del Gruppo Parnasi su terreni di proprietà BNL – su cui si è straparlato ampiamente anche sulla stampa – ma del progetto di “mitigazione del rischio idraulico dell’area Eur-Castellaccio-Europarco”, che è tutt’altra cosa. Un progetto, quest’ultimo, che aveva solo lo scopo di rendere agibili e collaudabili alcuni uffici costruiti da Parnasi e poi affittati all’Eni; il fine di questo progetto era quindi quello di abbassare il rischio di allagamento che incombe sulla zona Castellaccio, classificata come R4, il livello più alto previsto dalla legge, visto che vi scorrono due importanti affluenti del Tevere, i due fossi di Vallerano e Acquacetosa, e definita nelle carte “valle di rigurgito del Tevere”. Progetto collegato anche a quello del nuovo stadio della Roma, visto che Tor di Valle si trova a poche centinaia di metri di distanza, per questo c’è forse tanta agitazione, soprattutto tra politici e tecnici dell’ultima ora. La domanda però a questo punto sorge spontanea: l’iscrizione epigrafica che ci permette di attribuire il ponte sul fosso dell’Acquacetosa all’imperatore Marco Aurelio e di datarlo al 177 d.C che fine ha fatto? È forse finita in discarica anche lei? L’inchiesta completa sul prossimo numero de il Caffè di Roma in distribuzione dal 30 luglio.